UNA GRANDE OPERA DI MANUTENZIONE PER MIGLIORARE LA RETE ARCI

17 Dicembre 2013

Con il recente Congresso del Comitato Territoriale , abbiamo deciso di avviare una grande opera di manutenzione e di miglioramento organizzativo e politico tra centro e periferia dell’associazione .

Una grande sfida che arriva dopo un lungo lavoro di monitoraggio e analisi del territorio e, soprattutto, dopo che il settore Sviluppo Associativo, unitamente ai circoli di base, ha preparato, non senza difficoltà, ma con grande determinazione, le premesse e i presupposti per questo impegno.

Il 2014 quindi dovrà essere dedicato a questo importante lavoro.

Tornare indietro o disattendere le aspettative emerse al Congresso manderebbe al nostro corpo sociale diffuso un segnale di incapacità ad affrontare un lavoro di cui abbiamo davvero bisogno: dotarci strumenti adeguati e al passo con i tempi coerenti con un pensiero collettivo e di scenario sull’Arci, sul suo ruolo sociale, culturale e sul suo modo di essere e agire, tanto nella dimensione territoriale, quanto in quella di ogni singolo circolo.

A maggior ragione se vogliamo rendere agibile e concreto il fatto di «essere al servizio delle nostre basi associative e dei nostri soci, sia politicamente, sia in termini di servizi e opportunità», Il rischio di ossessionarci di noi stessi» esiste, ed è bene quindi, dirsi in premessa che, nonostante alcuni limiti,pochi possono vantare una rete e un patrimonio così articolato sul territorio provinciale come l’Arci.

Oggi qualcuno definisce i nostri circoli come una vitale infrastruttura del settore sociale e del moderno welfare.

La penso anch’io così.

Cosa fare dunque oggi?

In primo luogo, mantenere quel lavoro di ricognizione e monitoraggio continuo, teso a riannodare i fili, tessere continuamente le reti, provando a rafforzare e a rendere fluidi (e costanti) i rapporti tra i circoli e il comitato territoriale e tra circolo e circolo.

La verticalità della nostra filiera organizzativa, infatti, presuppone un determinato funzionamento con nodi importanti che devono interagire tra loro, con compiti e funzioni differenti e, quindi, con strumenti differenti.

Ma perché allora continuiamo a percepire una sofferenza di questi meccanismi di rete?

Con una certa franchezza intanto possiamo dirci che si fa ancora una certa fatica a ‘rompere’ quell’idea che di circoli bisogna occuparsi solo a danni conclamati e nei circoli stessi a comprendere la rete come opportunità di sviluppo e crescita di iniziative e soci.

Non sfugge che per cambiare questo stato degli atti, occorrono si proposte organizzative (gruppi di lavoro e zone), ma anche una decisa volontà politica dei dirigenti, ma soprattutto, la disponibilità dei circoli ad uscire da un’idea dell’autonomia che in taluni casi rischia addirittura l’autismo.

È per questo, anche, che non convincono del tutto le declinazioni esclusivamente numeriche di “circoli forti e circoli deboli”.

Il punto non è quello del numero delle tessere,  ma determinare (e pretendere) che un piccolo circolo di una frazione di periferia sia messo nelle condizioni minime di opportunità di svolgere attività di un grande circolo del centro di Arezzo.

Insomma ,uguali diritti ma anche uguali doveri; in un ottica di solidarietà orizzontale sia tra circolo e circolo, sia di blocco comune nei confronti delle richieste verso enti locali e amministrazioni pubbliche.

Infine, non sfugge che ripensare il nostro insediamento, proponendo modifiche organizzative al territorio significa al contempo ripensare a strutture sovra ordinate, come comitato regionale e nazionale, coerenti e funzionali al modello proposto dalle strutture di base. Un ripensamento complessivo necessario che, a differenza del passato, arriva sulla base di un reale lavoro di studio e analisi sul territorio e non sulla base di semplici suggestioni.

Donato Caporali, Presidente Consiglio Direttivo

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