Strage di Lampedusa. Simbolo di una tragedia migratoria
2 Ottobre 2015
Il 3 ottobre ricorre tristemente il secondo anniversario della strage di Lampedusa. Esattamente due anni fa un’imbarcazione libica con più di 500 profughi naufragò a poche miglia dalle coste siciliane provocando 366 morti, circa 20 dispersi e 155 sopravvissuti. Numeri terribili.
Se c’è una cosa a cui servono le tragedie è fare in modo che non accadano di nuovo e invece purtroppo, come troppo spesso succede, l’indignazione dei primi giorni non ha dato seguito a politiche efficaci a risolvere, o per lo meno, a mettere un argine alla situazione.
Dopo quel drammatico giorno ce ne sono stati molti altri con migliaia di morti in mare ed ecco che le celebrazioni, i ricordi, le fiaccolate, restano atti fini a se stessi.
La strage di Lampedusa rimane solo un simbolo della tragedia migratoria a cui stiamo assistendo.
Simboli, come quell’immagine del bambino siriano trovato morto sulle coste greche, come i muri che si ergono a difesa dei Paesi della civile Europa, dove i confini sono più importanti dei diritti delle persone.
E’ importante indignarsi, prendere distanza dal populismo e dal razzismo disumano dilagante nella nostra società, ma non basta. Serve capire le cause di tutto questo altrimenti continueremo ad assistere per molti anni ad altre stragi in mare, ad altre piccole vite spezzate, ad altri muri.
L’impoverimento e il saccheggio del continente africano (avvenuto attraverso appoggi a fazioni in conflitti interni ad alcuni Paesi), le guerre in Iraq e in Afghanistan prima, quella in Libia poi, sono le cause di questa drammatica situazione.
Il paradosso è che l’Unione Europea, incapace di gestire il flusso migratorio, ritiene la guerra la soluzione del problema e così stanno cominciando proprio in questi giorni i primi bombardamenti in Siria attorno ai quali si stanno riassestando gli equilibri mondiali tra Usa, Ue e Russia.
Si prevede nei prossimi mesi un esodo di 6 milioni di persone dalla Siria che scappano da morte, distruzione, fame e povertà. Nel frattempo la Libia rimane nel caos e la comunità internazionale pensa di risolvere la situazione nuovamente con le bombe.
Indignarsi di fronte a immagini a effetto e commemorare stragi non basta più. L’opinione pubblica deve condizionare la politica, deve indirizzarla verso soluzioni che mettano la vita e la dignità degli esseri umani davanti agli interessi economici. Partecipare e non solo assistere.
Fermare la guerra oggi, sarebbe il miglior modo per commemorare le vittime del mare, quelle 366 di quel maledetto 3 ottobre come tutte le altre. Il resto è solo ipocrisia.